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NICETA COSI

NICETA (COSI) è nato a Racale (Lecce), vive a San Benedetto del Tronto (AP) e lavora nel suo studio sito in C.da Collelungo 3 di Monsampolo del Tronto (AP).

Nei primi anni ’60 inizia il suo approccio con la pittura e nel 1969 partecipa alla prima collettiva di giovani pittori organizzata e patrocinata dal Comune di Racale.

NICETA, autodidatta, nonostante la sua formazione culturale prettamente scientifica (laureato in Fisica è docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Classico “F.Stabili” di Ascoli Piceno), non ha mai abbandonato la sua passione per l’arte. L’evoluzione artistica è maturata negli anni ’70, quando, trasferitosi in provincia di Ascoli Piceno, produce una serie di lavori sostanzialmente monocromatici che potremmo definire periodo rosso e soprattutto periodo blu che sono la più evidente nostalgia della rossa terra natia e dei notturni lunari salentini.

La ricerca e la sua voglia d fare lo inducono a una costante sperimentazione e si cimenta anche nella tecnica mista del collage, senza rinunciare a misurarsi con la creazione di sculture modellando il das.

Dopo una pausa che potremmo definire di riflessione, l’arte di NICETA acquista nuove cromatiche senza mai rinunciare al soggetto quasi ossessivo della sua produzione artistica: l’ulivo.

NICETA guarda l’ulivo nella sua essenza botanica, lo analizza, lo seziona, lo sfronda e dopo averlo sezionato ne restituisce un’immagine antropomorfizzata, con la quale evoca i fondamenti della cultura mediterranea: il mito, l’attesa, la danza(1), la denuncia sociale.

La sua tavolozza, molto luminosa, si estrinseca nella semantica dei colori puri e primari, talvolta leggeri come acquarelli, in contrasto con il colore denso e materico delle figure.

Negli ultimi 20 anni, NICETA ha partecipato a mole collettive e soprattutto ha organizzato diverse personali, riscotendo sempre lusinghieri successi tanto che molte delle sue opere figurano in collezioni pubbliche e private, in Italia e all’estero.

(1) Si ringrazia il Gruppo Musicale “Lu Rusciu Nosciu” che con l’incipit de “Lu Rusciu te lu Mare” fa da colonna sonora alla galleria delle opere di NICETA.

PICCOLA ANTOLOGIA CRITICA

Le immagini di NICETA sono le sopravvissute da una pesante e lunga attesa. Una pittura fondamentalmente astorica, dove la violenza subita dalle forme non arriva ad esprimere l’esplosione di vita e l’eterno silenzio tra l’urlo di dolore e il pianto interiore. Egli riesce ad esprimere nei suoi lavori, quell’attesa immobile e millenaria di un’embrionale vita disidratata e pietrificata. Sintesi tra vegetale e animale, tra umano e sociale, tra realismo degli affetti e fredda condanna, ma il concetto della pittura che si esprime spesso in forma scultorea, è ciò che meglio può esprimere l’anticamera del sentimento di ogni individuo; NICETA infatti ha il merito di aver scomposto il processo di percezione visiva concentrando la sua attenzione su ciò che avviene prima che l’immagine diventi cosciente e dopo che sia stata percepita, riuscendo quindi a creare una continua osmosi tra Essere e Coscienza, in una superiore consapevolezza.
In tal modo concilia l’ingenua visione primordiale con la pluriscopia moderna dalla quale più spesso forse dovremmo liberarci.
(Paolo Prezzavento 1984 Ascoli Piceno)
Le forme antropomorfe che si sprigionano dagli ulivi pervadono di animiamo le opere di NICETA. Il continuo trasmutarsi della forma in vita e della vita in forma, in un ciclo senza fine, si materializza in un’espressività che diventa scultura: la forma è nel soggetto, lo spazio nel colore, la vita nell1 idea. Alberi e colline si umanizzano nel mito, nel tempo e nei rossi violenti e solari, per poi dileguarsi nella luce di intensi, suggestivi e sentiti pleniluni. L’arte primitiva di NICETA, proiettata nel futuro, esce dai canoni tradizionali ed acquista una dimensione personale e altamente intimistica.

(Tullia Binni 1991 San Benedetto del Tonto)

Gli alberi sono sempre stati per me I più assidui predicatori (…)

E più ancora li venero quando se nestanno soli.

Essi sono come dèi solitari (…)

le loro radici riposano nell’infinito (…)

sui lembi lucenti dei loro ceppi si può leggere l’intera loro storia (…)

si trova fedelmente annotata ogni lotta, ogni dolore, ogni felicità (…)

gli alberi sono santuari.

Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, percepisce la verità (…)

chi ha imparato ad ascoltare gli alberi (…)

desidera soltanto essere ciò che è.

Questa è felicità.

Geniale arcana follia…

(all’artista Niceta)

Dai profondi intensi silenzi,

di memorie ancestrali,

prepotente, affiora

l’Esistenza

vibrante si staglia

in gelide magnitudini

di pietra.

Con geniale arcana follia

(senza clamore)

mitiche immagini

fluttuano

in controtorsioni disperate

sospese

fra tempo e atempo…

Nel silenzio primigenio, eterno,

è l’attesa stanca

di eventi ignoti

al di là della morte

del sole…

E l’urlo dell’anima si spegne raggelato

dalla pallida luna

che già non è.

M.R. Amadio – Maglio (LE) 9-8-1992

L’ulivo ne è in “speculum” la sua naturale metafora; ed è comprensibile perchè la sua terra, quella d’origine, è il Salento, fecondato e reso illustre dalla secolare civiltà messapica dell’ulivo.

Egli lo dipinge non come metafora barocca e cromatica ma come ricerca di un arcaismo dell’anima, umana e arborea, che l’urto del tempo trasfigura in una ciclica e magica compenetrazione panica.

Simili a entusiastici “dei minori”, gli ulivi danno figura ad una pantomima corale di insoliti ammiccamenti e ostentate provocazioni di enigmatico incanto vegetale.

I loro corpi contorti e piagati, spalmati a strati e solidificati con i gialli, i verdi e i blu, ma anche resistenti, anzi rafforzati dalle antiche e mai finite battaglie con gli elementi, definiscono il centro poetico della pittura mediterranea di NICETA.

Essa non ha niente di narrativo, ogni quadro è un’icona a se stante, in cui è all’opera un silenzio sospeso e appassionato, che attira e possiede, che annulla le pause, che sfida il tempo, che ha i caratteri di qualcosa di antico e remoto, ma che in realtà è presente.

Apologo tellurico dunque, di una nostalgica orfanezza messapica che, attraverso il ritmo ossessivo e apocalittico della danza degli ulivi sembra rivitalizzare l’eco ormai funerea di un’aurorale epoca arborea dell’essere.

Sono danze che riecheggiano in realtà una socialità profonda, che non s’appaga dinanzi allo smarrimento, cerca nuovi appelli, nuove strategie che assumono i tratti suasori ed edificanti dell’icona.

L’ulivo diventa così un’icona di un’inattualità, immagine sospesa e pietrificata di un perenne mistero arboreo “che dà investitura all’uomo”.

(Paolo De Maio 2002 Ascoli Piceno)

 

L’arte di NICETA si è definita in quest’ultimo decennio ed ha trovato la migliore espressione nei Trittici (basti ricordare ” Mediterranea”, “Sirtaki”, “La Pizzica”), dove l’artista ha sublimato i suoi temi i suoi temi e ha combinato la semplicità del segno con la complessità concettuale producendo nel “lettore” una meraviglia, uno stupore e un senso di sgomento di fronte alla molteplicità di interpretazioni suggerite e altre varietà di soluzioni possibili, tramite il simbolo

La sua ricerca si fissa per un lungo periodo su alberi vivificati ed animati, che si ergono verso l’alto, come per pregare, mossi in una danza tragica mentre la palla del sole brucia, facendo rosseggiare la terra o mentre il disco della luna piena sembra quietare ogni elemento vitale, immerso in una luce bianca….

Questa ricerca confluisce in una produzione mitica in cui viene ripopolato il mondo di eroi e semidei, che paradigmaticamente esprimono la volontà di vivere per l’altro, come fratelli maggiori che indicano itinera comportamentali nella solitudine del mondo.

Senza soffermarsi sulla valenza della simbologia mitica, l’arte di NICETA certamente qui trova la massima espressione magica e sofferenziale, ma contemporaneamente lascia trasparire possibilità di vita migliore, pur nella coscienza di dolore e di sofferenza vitale queste opere non evocano solo storie mitiche, ma suggeriscono sensazioni nuove, producono emozioni profonde che vanno ben oltre la sostanza del mito e lasciano un senso di misteriosa inquietudine in una reinterpretazione contemporanea della favola classica.

L’artista, con pochi segni marca l’azione, muove la scena e spinge alla partecipazione, invita ad una ideale danza, alla coralità e alla solidarietà dell’uomo, in grado di ritrovare la propria origine e capace di ricreare fantasie classiche, pur in un mondo ormai immerso nel mito del successo e del guadagno industriale.

(Angelo Filipponi 2002 San Benedetto del Tronto)